Enti bilaterali
Succede spesso che i contratti collettivi facciano riferimento agli enti bilaterali, prevedendo l’iscrizione dei lavoratori dipendenti.
Nell’approfondimento cercheremo di fare chiarezza su cosa siano, a cosa servano e se la loro adesione sia obbligatoria.
Definizioni
La definizione di ente bilaterale è contenuta nel D.lgs. 276/2003, all’articolo 2 lett. h), il quale sancisce che questi sono “organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso:
- la promozione di una occupazione regolare e di qualità;
- l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
- la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda;
- la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per l’inclusione dei soggetti più svantaggiati;
- la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito;
- la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva;
- lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e la sicurezza sul lavoro;
- ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento”.
Questo elenco non tassativo di funzioni, si arricchisce con ulteriori compiti affidati agli enti da successivi interventi legislativi o contrattuali.
Ad ogni modo, è necessario sottolineare che, sebbene le leggi possano assegnare funzioni agli enti bilaterali, l’istituzione di questi organismi è sempre demandata alla contrattazione collettiva, con la conseguenza che potranno aversi settori che li prevedano, in virtù del CCNL applicato, ed altri no.
Tornando alle competenze degli enti bilaterali, successivamente al D.lgs. 276/2003, tornerà ad occuparsi della materia la Legge Fornero, la quale rinvia agli enti bilaterali in materia, da un lato, di “flessibilità in entrata” (mediante la certificazione dei contratti di associazione in partecipazione), e, dall’altro, promuovendo l’istituzione di Fondi di solidarietà bilaterali per il sostegno al reddito, nel caso in cui la sospensione di attività riguardi settori non coperti da ammortizzatori sociali.
Da ultimo, la legge n. 78/2014 prevede la competenza degli enti bilaterali in materia di apprendistato, affidando a questi ultimi la definizione del piano individuale.
In termini riassuntivi quindi, le aree di intervento degli enti bilaterali sono molteplici: mercato del lavoro e formazione professionale e continua; regolarità contributiva, certificazione dei contratti di lavoro, salute e sicurezza; sostegno al reddito ed assistenza e previdenza integrativa; formazione.
Obbligatorietà
La contribuzione all’ente bilaterale da parte del datore di lavoro è obbligatoria?
La risposta a tale domanda è necessariamente collegata all’efficacia del contratto collettivo e alle conseguenze della mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, volto a garantirne l’efficacia erga omnes.
Per cercare di rendere chiaro il discorso è necessario sottolineare come il contratto collettivo si divida genericamente in due parti: una parte normativa e una parte obbligatoria.
Nella parte normativa si disciplinano istituti che hanno diretta rilevanza sul rapporto di lavoro individuale del lavoratore, come specifiche forme di tutela e prestazioni di welfare.
Viceversa, in quella obbligatoria vengono disciplinati i rapporti tra le parti firmatarie, che invece non hanno un effetto diretto sul rapporto di lavoro. L’istituzione dell’ente bilaterale rientra proprio in questa parte, ed è destinato a vincolare solo le parti stipulanti il contratto stesso.
Pertanto, in prima battuta si potrebbe dire che il datore di lavoro non è obbligato a versare la contribuzione all’ente bilaterale, perché appunto il contratto collettivo ha efficacia solo per le parti stipulanti, applicandosi a lavoratori e datori di lavoro iscritti alle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo.
Al lavoratore però devono comunque essere garantite le prestazioni indicate dal contratto collettivo nella parte normativa, facendo quindi sorgere in capo al datore l’obbligo di assicurare il godimento delle stesse, anche nel caso in cui il lavoratore non aderisca ad alcun sindacato firmatario del contratto collettivo applicato in azienda.
In questi termini, si può affermare che seppur la disciplina dell’ente ricada nella parte obbligatoria, la tutela che ne scaturisce rientri nella parte normativa, in quanto tange direttamente il rapporto di lavoro individuale.
Il datore, quindi, può scegliere se fornire autonomamente le prestazioni indicate dal contratto collettivo o indirizzare i dipendenti all’ente bilaterale istituito dalle associazioni sindacali firmatarie del contratto.
Nel caso in cui il datore di lavoro non voglia aderire all’ente bilaterale l’impatto economico è solo ed esclusivamente a suo carico, mentre nel caso in cui decida di iscriversi gli enti sono finanziati pariteticamente da lavoratori e imprese. In tal senso, ad esempio, si esprime l’art. 23 del CCNL Commercio Confcommercio che prevede una quota contributiva pari allo 0,10% a carico dell’azienda e 0,05% a carico del lavoratore a favore dell’ente bilaterale, precisando inoltre che “l’azienda che ometta il versamento delle suddette quote è tenuta a corrispondere al lavoratore un elemento distinto della retribuzione non assorbibile di importo pari […] allo 0,30% di paga base e contingenza, corrisposto per 14 mensilità e rientra nella retribuzione di fatto”.
Tale posizione è stata peraltro sottolineata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale con la circolare n. 43 del 2010, in cui afferma che “l’impresa che aderisce alla bilateralità assolve, con la contribuzione a favore dell’ente, agli obblighi in materia nei confronti dei lavoratori. Diversamente, per le imprese che non aderiscono al sistema bilaterale, il singolo lavoratore maturerà il diritto all’erogazione diretta, da parte del datore di lavoro, di prestazioni equivalenti a quelle erogate dal sistema bilaterale di riferimento”
Pertanto, per provare a rispondere alla domanda relativa all’obbligatorietà della contribuzione all’ente bilaterale si può affermare che il datore non è obbligato necessariamente a versare contribuzione a favore dell’ente bilaterale previsto dal CCNL applicato in azienda, ma, ad ogni modo, sarà tenuto ad attivarsi autonomamente per garantire il medesimo livello di tutela a favore dei propri dipendenti.